PAPA  FRANCESCO  AD  ALESSANO
20 APRILE 2018

Cari fratelli e sorelle,
sono giunto pellegrino in questa terra che ha dato i natali al Servo di Dio Tonino Bello. Ho appena pregato sulla sua tomba, che non si innalza monumentale verso l’alto, ma è tutta piantata nella terra: Don Tonino, seminato nella sua terra – lui, come un seme seminato –, sembra volerci dire quanto ha amato questo territorio. Su questo vorrei riflettere, evocando anzitutto alcune sue parole di gratitudine: «Grazie, terra mia, piccola e povera, che mi hai fatto nascere povero come te  ma che, proprio per questo, mi hai dato la ricchezza incomparabile di capire i poveri e di potermi oggi disporre a servirli».

Capire i poveri era per lui vera ricchezza, era anche capire la sua mamma, capire i poveri era la sua ricchezza. Aveva ragione, perché i poveri sono realmente ricchezza della Chiesa. Ricordacelo ancora, don Tonino, di fronte alla tentazione ricorrente di accodarci dietro ai potenti di turno, di ricercare privilegi, di adagiarci in una vita comoda. Il Vangelo – eri solito ricordarlo a Natale e a Pasqua – chiama a una vita spesso scomoda, perché chi segue Gesù ama i poveri e gli umili. Così ha fatto il Maestro, così ha proclamato sua Madre, lodando Dio perché «ha rovesciato i potenti dai troni, ha innalzato gli umili»

Una Chiesa che ha a cuore i poveri rimane sempre sintonizzata sul canale di Dio, non perde mai la frequenza del Vangelo e sente di dover tornare all’essenziale per professare con coerenza che il Signore è l’unico vero bene. Don Tonino ci richiama
a non teorizzare la vicinanza ai poveri, ma a stare loro vicino, come ha fatto Gesù, che per noi, da ricco che era, si è fatto povero.Don Tonino sentiva il bisogno di imitarlo, coinvolgendosi in prima persona, fino a spossessarsi di sé. Non lo disturbavano le richieste, lo feriva l’indifferenza.

Non temeva la mancanza di denaro, ma si preoccupava per l’incertezza del lavoro, problema oggi ancora tanto attuale. Non perdeva occasione per affermare che al primo posto sta il lavoratore con la sua dignità, non il profitto con la sua avidità. Non stava con le mani in mano: agiva localmente per seminare pace globalmente, nella convinzione che il miglior modo per
prevenire la violenza e ogni genere di guerre è prendersi cura dei bisognosi e promuovere la giustizia.

Infatti, se la guerra genera povertà, anche la povertà genera guerra. La pace, perciò, si costruisce a cominciare dalle case,
dalle strade, dalle botteghe, là dove artigianalmente si plasma la comunione. Diceva, speranzoso, don Tonino: «Dall’officina, come un giorno dalla bottega di Nazareth, uscirà il verbo di pace che instraderà l’umanità, assetata di giustizia, per nuovi destini».

Cari fratelli e sorelle, questa vocazione di pace appartiene alla vostra terra, a questa meravigliosa terra di frontiera – finis terrae – che Don Tonino chiamava “terra-finestra”, perché dal Sud dell’Italia si spalanca ai tanti Sud del mondo, dove «i più poveri sono sempre più numerosi mentre i ricchi diventano sempre più ricchi e sempre di meno»[

Siete una «finestra aperta, da cui osservare tutte le povertà che incombono sulla storia», ma siete soprattutto una finestra di speranza perché il Mediterraneo, storico bacino di civiltà, non sia mai un arco di guerra teso, ma un’arca di pace accogliente. Don Tonino è uomo della sua terra, perché in questa terra è maturato il suo sacerdozio.

Qui è sbocciata la sua vocazione, che amava chiamare evocazione: evocazione di quanto follemente Dio predilige, ad una ad una, le nostre fragili vite; eco della sua voce d’amore che ci parla ogni giorno; chiamata ad andare sempre avanti, a sognare con audacia, a decentrare la propria esistenza per metterla al servizio; invito a fidarsi sempre di Dio, l’unico capace di trasformare la vita in una festa.

Ecco, questa è la vocazione secondo don Tonino: una chiamata a diventare non solo fedeli devoti, ma veri e propri innamorati del Signore, con l’ardore del sogno, lo slancio del dono, l’audacia di non fermarsi alle mezze misure. Perché quando il Signore incendia il cuore, non si può spegnere la speranza.

Quando il Signore chiede un “sì”, non si può rispondere con un “forse”. Farà bene, non solo ai giovani, ma a tutti noi, a tutti quelli che cercano il senso della vita, ascoltare e riascoltare le parole di Don Tonino. In questa terra, Antonio nacque Tonino e divenne don Tonino.

Questo nome, semplice e familiare, che leggiamo sulla sua tomba, ci parla ancora. Racconta il suo desiderio di farsi piccolo per essere vicino, di accorciare le distanze, di offrire una mano tesa. Invita all’apertura semplice e genuina del Vangelo. Don Tonino l’ha tanto raccomandata, lasciandola in eredità ai suoi sacerdoti.

Diceva: «Amiamo il mondo. Vogliamogli bene. Prendiamolo sotto braccio. Usiamogli misericordia. Non opponiamogli sempre di fronte i rigori della legge se non li abbiamo temperati prima con dosi di tenerezza»

Sono parole che rivelano il desiderio di una Chiesa per il mondo: non mondana, ma per il mondo. Che il Signore ci dia questa grazia: una Chiesa non mondana, al servizio del mondo. Una Chiesa monda di autoreferenzialità ed «estroversa, protesa, non
avviluppata dentro di sé»

non in attesa di ricevere, ma di prestare pronto soccorso; mai assopita nelle nostalgie del passato, ma accesa d’amore per
l’oggi, sull’esempio di Dio, che «ha tanto amato il mondo».

Il nome di “don Tonino” ci dice anche la sua salutare allergia verso i titoli e gli onori, il suo desiderio di privarsi di qualcosa per Gesù che si è spogliato di tutto, il suo coraggio di liberarsi di quel che può ricordare i segni del potere per dare spazio al potere dei segni.

Don Tonino non lo faceva certo per convenienza o per ricerca di consensi, ma mosso dall’esempio del Signore. Nell’amore per Lui troviamo la forza di dismettere le vesti che intralciano il passo per rivestirci di servizio, per essere «Chiesa del grembiule, unico paramento sacerdotale registrato dal Vangelo».

Da questa sua amata terra che cosa don Tonino ci potrebbe ancora dire? Questo credente con i piedi per terra e gli occhi al
Cielo, e soprattutto con un cuore che collegava Cielo e terra, ha coniato, tra le tante, una parola originale, che tramanda a ciascuno di noi una grande missione.

Gli piaceva dire che noi cristiani «dobbiamo essere dei contempla-attivi, con due t, cioè della gente che parte dalla contemplazione e poi lascia sfociare il suo dinamismo, il suo impegno nell’azione», della gente che non separa mai preghiera e azione.

Caro don Tonino, ci hai messo in guardia dall’immergerci nel vortice delle faccende senza piantarci davanti al tabernacolo, per non illuderci di lavorare invano per il Regno.

E noi ci potremmo chiedere se partiamo dal tabernacolo o da noi stessi. Potresti domandarci anche se, una volta partiti, camminiamo; se, come Maria, Donna del cammino, ci alziamo per raggiungere e servire l’uomo, ogni uomo.

Se ce lo chiedessi, dovremmo provare vergogna per i nostri immobilismi e per le nostre continue giustificazioni. Ridestaci allora alla nostra alta vocazione; aiutaci ad essere sempre più una Chiesa contemplativa, innamorata di Dio e appassionata dell’uomo!

Cari fratelli e sorelle, in ogni epoca il Signore mette sul cammino della Chiesa dei testimoni che incarnano il buon annuncio di Pasqua, profeti di speranza per l’avvenire di tutti. Dalla vostra terra Dio ne ha fatto sorgere uno, come dono e profezia per i nostri tempi. E Dio desidera che il suo dono sia accolto, che la sua profezia sia attuata.

Non accontentiamoci di annotare bei ricordi, non lasciamoci imbrigliare da nostalgie passate e neanche da chiacchiere oziose del presente o da paure per il futuro. Imitiamo don Tonino, lasciamoci trasportare dal suo giovane ardore cristiano, sentiamo il suo invito pressante a vivere il Vangelo senza sconti.

È un invito forte rivolto a ciascuno di noi e a noi come Chiesa. Davvero ci aiuterà a spandere oggi la fragrante gioia del Vangelo.

Adesso, tutti insieme, preghiamo la Madonna e dopo vi darò la benedizione, d’accordo?

Saluto del Vescovo mons. Vito Angiuli
Beatissimo Padre,
Le rivolgo il saluto a nome della Chiesa di Ugento-S. Maria di Leuca, dei confratelli Vescovi, delle Autorità religiose, istituzionali, civili e militari, dei familiari di don Tonino Bello, degli ammalati, dei migranti, dei giovani e di tutta la gente del Salento. Grande è la nostra gioia perché sappiamo di vivere oggi un giorno memorabile. L’incontro con Lei lascerà un segno indelebile nella nostra storia e rimarrà sempre vivo nella memoria del popolo salentino.

La ringraziamo, Padre Santo, per questo Suo gesto di squisita paternità nei riguardi del Servo di Dio, Mons. Antonio Bello, nel XXV anniversario del suo dies natalis. La sosta orante presso la sua tomba è espressione di sincera ammirazione per l’esempio di vita evangelica che egli ha offerto, ma è anche un invito, rivolto a tutti noi, a seguire
i suoi insegnamenti e a diventare, come lui, veri discepoli del Signore.

Molto è stato scritto e detto in questi venticinque anni su don Tonino. La più bella testimonianza è quella offerta da lui stesso. Così egli scriveva: «Volevo diventare santo. Cullavo l’idea di passare l’esistenza tra i poveri in terre lontane, aiutando la gente a vivere meglio, annunciando il Vangelo senza sconti, e testimoniando coraggiosamente il Signore Risorto». Siamo persuasi che questa sua aspirazione si è pienamente realizzata ed è diventata per noi uno
stimolo a incamminarci sulla via della santità;

Una testimonianza particolarmente toccante è quella di due ragazzi, due ministranti, che mi hanno inviato una tenerissima lettera nella quale hanno scritto queste parole: «La visita del Papa sulla tomba di don Tonino è segno di forte unione tra loro due. L’episcopato di don Tonino e il pontificato di Papa Francesco hanno in comune la semplicità bella dell’umiltà. Speriamo di vedere presto don Tonino Beato! Don Tonino è vivo esempio per i nostri pastori. È stato per tutti, don Tonino, prima che Vescovo, papà del suo popolo, mostrando una forte paternità».

Testimonianza commovente: due ragazzi che non hanno conosciuto don Tonino, a distanza di venticinque anni dalla sua morte, avvertono il fascino della sua paternità e additano il suo stile di vita come un esempio per noi pastori.

La Sua visita, Padre Santo, cade a dieci anni da quella di Papa Benedetto XVI. Sostando presso la Basilica di Leuca per venerare la Vergine de finibus terrae, egli ha esortato la nostra Chiesa a considerare i confini geografici, culturali, etnici, addirittura i confini religiosi come un invito al dialogo e all’evangelizzazione nella prospettiva della “comunione delle diversità”. La “convivialità delle differenze” è stato anche il programma di vita perseguito instancabilmente dal Servo di Dio, don Tonino Bello. Ed è anche l’esortazione che Lei continuamente ci rivolge.

Santità, nelle Sue esortazioni all’amore verso i poveri, all’impegno per la pace, all’accoglienza dei migranti, ci sembra di riascoltare l’eco delle parole che più volte ci ha rivolto il nostro amato don Tonino. Nei Suoi gesti, ci pare di intravedere gli esempi di vita che don Tonino ci ha lasciato. Troppo evidente ci sembra la somiglianza. Ogni volta che Lei appare alla finestra del Palazzo Apostolico, a noi viene in mente il titolo di un libro di don Tonino: Alla finestra la speranza.

Ed è proprio la speranza che ci sostiene nell’affrontare alcuni gravi problemi che affliggono il nostro territorio: il flagello della xylella che ha devastato la bellezza dei nostri alberi d’ulivo; il ricorrente tentativo di deturpare il nostro mare; la precarietà e la mancanza di lavoro; la ripresa delle migrazioni di molti giovani e di interi nuclei familiari; il
grido di dolore di tanti poveri umiliati nella loro dignità umana.

La ringraziamo per le parole di esortazione che vorrà rivolgerci. Le vogliamo bene e Le assicuriamo la nostra filiale e costante preghiera. Ci custodisca nel Suo cuore di Padre e ci benedica. Le consegno, ora, il frutto della generosità del popolo di Dio, quale contributo alla Sua intensa opera di carità nei riguardi dei poveri. Grazie, Papa Francesco.